Il morbo di Alzheimer è una malattia neurodegenerativa, connessa all’età, ed è un problema sanitario importante del soggetto anziano in tutto il mondo. L’incidenza di Alzheimer aumenta significativamente con l’età raggiungendo quasi il 50% nei soggetti di età superiore agli 85 anni.
L’infiammazione dei tessuti cerebrali svolge un ruolo fondamentale nella genesi della malattia e risulta anche l’anello di congiunzione tra la malattia parodontale e Alzheimer. Altri fattori di rischio riguardano la storia familiare, l’educazione all’igiene orale, la dieta ricca di grassi, l’ipertensione. La parodontite è considerato uno dei probabili fattori di rischio su cui convergono numerose ricerche per i meccanismi eziologici comuni in entrambe le patologie; è stato infatti evidenziato come la perdita di elementi dentari, la cui principale causa nella popolazione adulta è rappresentata proprio dalla parodontite, sia significativamente associata al rischio di sviluppare il morbo di Alzheimer.
È stato ipotizzato che tale correlazione possa trovare una spiegazione nella liberazione, nel circolo sanguigno, di mediatori pro-infiammatori nei pazienti parodontopatici che superano la barriera emato-encefalica e vanno a stimolare le cellule nervose a produrre radicali liberi e ulteriori citochine pro-infiammatorie, determinando un progressivo danneggiamento delle strutture nervose. Un altro meccanismo ipotizzato riguarda la diffusione in circolo di specie batteriche parodontopatogene, la cui presenza è stata trovata nel tessuto cerebrale di pazienti affetti da morbo di Alzheimer.
Quali effetti benefici possono avere la prevenzione e la terapia della parodontite nei pazienti con morbo di Alzheimer? È ipotizzabile che un’adeguata terapia parodontale nei pazienti affetti da morbo di Alzheimer possa avere effetti positivi anche in termini di controllo della progressione della patologia neurodegenerativa. In ogni caso, le evidenze scientifiche disponibili suggeriscono che la prevenzione delle patologie parodontali attuata precocemente nel corso della vita di questi pazienti, quando quindi la malattia neurologica non si è ancora manifestata, può contribuire alla riduzione della progressione dei danni neurocognitivi causati dal morbo di Alzheimer.
Elio Bava
Medico chirurgo
Specialista in odontoiatria e protesi dentaria