Psicologo alla poltrona
Che cos’è e in cosa consiste
L’organo bocca rappresenta certamente il mezzo di comunicazione “principe” nella vita sociale di ognuno di noi; per il dentista essendo il centro dell’universo operativo deve essere considerata zona non solo ricca di significati, ma soprattutto “intima”. Tale consapevolezza deve essere costantemente nel pensiero dell’odontoiatra, questo per dare tutta l’importanza che rappresenta per il paziente l’esperienza di compiere una cura su quella poltrona, a volte per noi scontata.
Lo stesso Freud considerò la bocca come la prima zona erogena nell’evoluzione del bambino e, come per molte altre zone del nostro corpo, rappresenta sempre una “concessione”, come avviene in età adulta con il proprio partner.
Il dentista è quindi intrappolato in un meccanismo complesso di relazione particolarmente coinvolgente, sia da un punto di vista psicologico che fisico, tanto da ricordare il rapporto medico-paziente di un’altra specialità, che pur occupandosi d’altro, le accomuna in molti aspetti: la ginecologia. In entrambe le specialità infatti le posizioni assunte dai pazienti sono tali da creare non solo un certo comprensibile imbarazzo iniziale, ma anche una inevitabile sudditanza psicologica.
Durante la seduta odontoiatrica il paziente è spesso disteso con l’immagine del medico e dell’assistente incombente sopra di lui, gli occhi che cercano una zona neutra e inevitabilmente la bocca aperta. Per la psicologia moderna questa rappresenta una posizione di assoluta subordinazione.
Il nostro compito è quindi (specie la prima volta) cercare di comprendere con attenzione chi ci sta di fronte: possiamo dedurre molto dal suo abbigliamento, dalla cura della persona, dal modo di porsi, di gesticolare, di parlare, dal tono della voce, dalle classiche posizioni posturali assunte dal corpo.
Questo è il “contenente”, ma ciò che più ci interessa è il “contenuto”. Il paziente appare tranquillo, nervoso, intimorito, diffidente, perplesso, riesumiamo le nostre cognizioni di psicologia e mettiamolo subito a suo agio, chiedendogli cose semplici e intuitive con domande aperte:
Come sta oggi? Quale è il motivo specifico per il quale è venuto da noi? Sarà così ispirato a una risposta che prevede un’ampia possibilità descrittiva, che ci aiuterà a comprendere cosa lo affligge.
Naturalmente presteremo la massima attenzione guardandolo negli occhi, dandogli tutta l’importanza che merita per essersi rivolto a noi.
Non dobbiamo aver paura di invadere la sua privacy con le nostre domande, primo perché è nel reciproco interesse, secondo perché lui, legittimamente, ha fatto lo stesso quando è entrato nel nostro studio nei confronti di chi l’ha accolto, guardandosi in giro per la sala d’attesa, esprimendo mentalmente una valutazione su arredi, colori, andirivieni di eventuali altri pazienti e quant’altro. In sostanza, ognuno ha fatto la sua parte per comprendere, volontariamente o meno, il frangente in cui si trova.
Possono apparire cose scontate che certamente tutti i professionisti conoscono, può capitare però che, travolti dalla pratica quotidiana, tali concetti sfuggano o non siano applicati: quindi una riflessione in più in tal senso può solo migliorare il rapporto medico-paziente.
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